I luoghi

In questa pagina descrivo i luoghi attraversati durante il Cammino di Santu Jacu della Baronia.


La chiesetta di Santu Jacu di Siniscola (a dx),
vista dagli ultimi km della SP45 provenendo da Nuoro...

... e dall'interno del parco, sul lato del sagrato.

Dopo la tappa di trasferimento da Nuoro, si giunge presto al parco della chiesetta campestre di Santu Jacu, San Giacomo, in agro di Siniscola, chiesa di partenza del pellegrinaggio.

L'area è recintata e chiusa da un cancello senza serrature da aprire e richiudere prontamente dopo essere entrati. Nelle stradine agrarie può capitare di trovare cancelli senza lucchetti. Varcandoli, ci si deve sempre ricordare di richiuderli per evitare il transito di bestiame al pascolo brado che potrebbe uscire e smarrirsi, o entrare e provocare danni.

Purtroppo, data la collocazione campestre, così come tutte le altre chiese incontrate sul Cammino ad eccezione di quella di arrivo, difficilmente capiterà di poterne visitare gli interni al di fuori dei periodi dedicati ai festeggiamenti locali, ma questo non inficia ne' sminuisce il valore spirituale del cammino.

Santu Jacu. Il maestoso olivastro di fronte al sagrato.
Sulla sfondo, il Montalbo.
Comunque, anche se il santuario è chiuso, ci si può intrattenere per una breve sosta di preghiera e di ammirazione del luogo, all'ombra dell'enorme olivastro che fronteggia il sagrato.
E' anche un buon punto di osservazione per ammirare la maestosità del Montalbo da una prospettiva diversa da quella cui siamo abituati percorrendo abitualmente la 131DCN. Lo stesso scorcio di montagna visibile nella foto qui accanto, ci apparirà purtroppo ben diverso da un'osservazione in quota, da uno degli ultimi tornanti durante l'ascesa al Monte Senes.




Santu Jacu. Il mosaico in "pranittas" del pesce.
In un rapido “tour” delle pertinenze del santuario, subito dopo la festa di maggio è possibile scorgere gli indizi di appartenenza della comunità di devoti, alla marineria e pesca.
Sul muretto di una struttura adiacente agli spazi usati per cucinare campeggia la sagoma di un bel pesce realizzata con un mosaico a grandi tessere di “pranittas”, la tipica pietra scistosa locale, chiaramente inneggiante all'Apostolo Giacomo il Maggiore. In realtà, il realizzatore dell'opera non era probabilmente al corrente che la chiesa di cui parliamo è dedicata a un altro Giacomo: San Giacomo il Minore (o Giacomo d'Alfeo), anch'egli Apostolo come il più noto Giacomo il Maggiore (o Giacomo di Zebedeo) al quale è spesso unificato non solo dai profani ma anche da alcuni autori della letteratura ecclesiastica.
All'interno di due grandi “cumbissias” comuni, si scorgono invece numerose griglie lunghe e strette usate per collocare le numerose pentole necessarie alla preparazione de Sa Suppa Thiniscolesa  in occasione dei festeggiamenti del 1 maggio. La ricorrenza di San Giacomo il Minore è infatti celebrata il 3 maggio, contro il 25 luglio di San Giacomo il Maggiore.

Nella nostra Isola sono tante le feste patronali e sagre paesane legate al mondo dei pescatori, ma si celebrano ovviamente nelle zone costiere per cui sortiscono un effetto particolare su osservatori come noi, provenienti dall'entroterra barbaricino e montano, decisamente più avvezzi a mense celebrative imbandite con i prodotti dell'agricoltura e della pastorizia.


Si parte.
Il pellegrinaggio inizia qui.

Dopo essere tornati “sui propri passi” fino al sottopassaggio della 4 corsie si svolta a destra.

A tre km dal sottopasso, su un muro di cinta di una fattoria figura la scritta con vernice gialla “Cammino di Santu Jacu” con tanto di freccia indicatrice a sinistra.

In questa prima parte di cammino le segnalazioni sono frequentissime e in varie forme; in alcuni punti anche ridondanti o inutili. Magari l'intento è semplicemente quello di rassicurare il pellegrino con una sorta di “Tranquillo, sei sempre sulla buona strada.”

Più avanti, su muri, rocce alberi e asfalto, si troveranno altre segnalazioni utili al raggiungimento della meta.

Inizia l'ascesa verso Monte Senes, sulla strada di Pauleddas, asfaltata ma fortemente sconnessa.

Ad ogni tornante in salita il panorama si fa sempre più ampio e il Montalbo delizia la vista assumendo forme sempre diverse, e colori mutevoli che ricordano le vedute dolomitiche, fino a sorprendere e inorridire il pellegrino mostrando improvvisamente l'enorme cicatrice in quota, lasciata dalle cave di calcare per la locale industria del cemento.

Croce di preghiera in località Janna 'e Pruna, poco prima del valico.
In prossimità del valico anche segnalata con cartello cartonato, e indicazione sull'asfalto, sosta di preghiera presso una croce votiva installata su una grande roccia tondeggiante con dinanzi un'aiuola delimitata da alcune grosse pietre verniciate di giallo, all'interno della quale sono stati depositati dai fedeli numerosi piccoli sassi.

A dirla tutta, credo che la maggior parte degli autori del gesto simbolico non ne conoscano la reale simbologia, poiché tutti i sassi deposti sono dello stesso tipo e sicuramente provenienti da pochi passi da la'. Il simbolismo vorrebbe invece che il sasso depositato provenga dai luoghi di origine abitati dal pellegrino, che facendosi carico del fardello del sasso per tutto il cammino lo depone come offerta e testimonianza del proprio sacrificio di fede.
Ma per ora va bene così. Del resto le tradizioni sono figlie del tempo

Località Janna 'e Pruna - la ... dura tartaruga.
Cento metri più in là, in prossimità del bivio, guardando verso l'alto alla nostra sinistra si nota una curiosa formazione rocciosa che da quell'angolazione pare una tartaruga che a fatica arranca sul costone. Preso il bivio a sinistra siamo già arrivati alla zona archeologica di Janna 'e Pruna.
Ripreso il viaggio, dirigiamo “in vetta” verso il parco Norghio, dove volendo è possibile ristorarsi e anche pernottare nell'omonima Locanda del Pellegrino.

Poco prima del cancello del parco, da un punto panoramico si può ammirare dall'alto uno scorcio di panorama marino del basso golfo di Orosei. Il giorno del nostro passaggio c'è una leggerissima foschia, ma la visuale riesce comunque a inebriare i sensi.
Veduta del basso golfo di Orosei da Norghio. Peccato per la foschia.

In corrispondenza del punto panoramico appena lasciato, si scollina per scendere la china verso la valle del fiume Cedrino. Attenzione alla strada, praticamente affiancata e tangente a quella già percorsa: verrebbe istintivo proseguire in direzione Nord, invece il verso giusto è quello che scende in direzione opposta alla salita di provenienza.

La pendenza della nuova discesa mette alla prova i freni dei ciclisti e le caviglie dei camminanti. È bene procedere con molta cautela, lentamente, con un occhio alla strada e uno al panorama, alla ricerca della prima chiesetta intermedia: Sant'Elene.

Sant'Elene. La chiesetta ricostruita.
Sant'elene da altra angolazione.
Sulla sinistra sono visibili i ruderi dell'antica chiesa bizantina.
L'apparizione dopo una stretta curva è rassicurante, ma al tempo stesso deludente. Sapendo che si trattava di una chiesa bizantina, seppur ricostruita, immaginavamo che nel restauro si fossero conservate se non le linee originali, almeno l'impronta architettonica dell'epoca. Ci ritroviamo invece di fronte a una piccola chiesetta, graziosa si, ma con uno stile costruttivo assolutamente contemporaneo e addirittura con un inserto a doppia croce ortogonale in cemento armato sulla parte absidale, tipica delle strutture postmoderne.


Il cancello del fondo è chiuso con lucchetto per cui l'osservazione è limita al tratto di strada limitrofo, salvo richiesta di visita al custode, Sig. Angelo, il locandiere di Norghio. Da un punto poco discosto si intravedono, lateralmente alla nuova chiesa, i ruderi della costruzione originaria: due antichi archi affiancati realizzati in pietra lavica o basalto che parrebbero i resti del vestibolo dell'antico edificio che doveva essere di dimensioni decisamente superiori a quelle della nuova.


A un metro dalla rete di recinzione è presente una pietra basaltica lavorata, infitta intenzionalmente nel terreno e probabilmente appartenente all'antico insediamento, e ancora oggi nella sua collocazione originale.

In occasione del nostro Cammino, il signor Angelo ci chiede se vogliamo visitare l'interno della nuova chiesa e vedere da vicino i ruderi di quella antica. Naturalmente approfittiamo con entusiasmo per la squisita disponibilità. L'apertura del portale di accesso al santuario è accompagnato dalla fuoriuscita di una intensa ondata di profumo di ginepro; l'altare è infatti realizzato rusticamente con un unico tronco di dimensioni impensabili per questo tipo di legno usato anche per il leggio in foggia di ramo contorto. Contrariamente all'aspetto esterno, l'interno è particolarmente caldo e accogliente.

Anche qui, dedichiamo qualche minuto di raccoglimento alla preghiera prima di riavviarci lentamente verso la prossima sosta distante non più di 200 metri, acnhe qui accompagnati da Angelo che non manca di erudirci con interessanti informazioni di natura archeologica. Chi transita senza conoscere i luoghi e senza una guida sappia che a differenza di Sant'Elene, i ruderi della chiesa bizantina di Santa Caterina, sono quasi invisibili dalla strada e sono raggiungibili solo seguendo le indicazioni poste sull'asfalto.

I ruderi della piccola chiesa bizantina di Santa Caterina.
Su un piccolo olivastro accanto ai resti della chiesa troviamo uno degli ormai noti cartelli provvisori  che recita appunto “Chiesa di Santa Caterina”.
Santa Caterina. Particolare interno dell'abside,
con la parte culminante fuori terra per poco più di un metro
che denota il notevole livello di sedimento depositatosi nei secoli.



Visto l'abbondante tempo a disposizione, e le notizie fornite da Angelo, sfruttiamo l'occasione per osservare attentamente il sito e dissertare sul posto in merito ai trascorsi storici del manufatto e delle sue pertinenze che arbitrariamente riteniamo competenti del sito: in particolare un pozzo funzionante e facente parte di un antico acquedotto realizzato nel periodo anteguerra, grossolanamente ricoperto con una struttura in cemento ma visibilmente contornato da una sorta di delimitazione semicircolare in pietre di ingannevole fattura plurisecolare.

Dopo il tempo dedicato alla preghiera, terminiamo con calma la nostra visita, abbandonando l'antico sito di origine bizantina e accomiatandoci da Angelo col proposito di una prossima futura visita alla sua locanda.


Su Campu de Northule.
Una delle tante creazioni rocciose della natura bizzarra.



Da qui in avanti procediamo più spediti anche perché sono parecchi i chilometri che ci separano dal prossimo Santuario. L'occhio non può comunque fare a meno di catturare i curiosi particolari del paesaggio come le forme bizzarre delle rocce di Su Campu 'e Northule e i muri perfettamente conservati de "Su Cuile Bezzu".






Dopo Santa Caterina circa 4 chilometri ci separano dall'innesto alla provinciale SP72 Irgoli-Capo Comino da percorrere verso Irgoli per circa un km per riprendere subito il sentiero bianco sulla sinistra che dopo il guado di un piccolo rio (asciutto nella stagione calda), procede fra file di canneti e oleandri che tracciano i confini di terreni fertili e ben coltivati. Lasciata la SP72, dopo 3 km di strada bianca, troviamo un cancello che apriamo e richiudiamo subito dopo il transito. Pochi metri sulla destra, e la strada è nuovamente asfaltata per poco più di un km fino all'incrocio della comunale, dove, svoltando a sx, dopo un centinaio di metri raggiungiamo il cancello di ingresso del parco con Santuario di Santu Juanne Istranzu, in agro di Onifai..

La graziosa chiesetta contemporanea di Santu Juanne Istranzu
realizzata in conci granitici tondeggianti - Vista esterna.
La chiesetta è chiusa tutto l'anno ma l'interno è visibile da cinque archi
aperti senza infissi ma con cancellata, sulla parte laterale dell'edificio.
Costruita nel 1967, la chiesa di Santu Juanne Istranzu, dedicata a San Giovanni Battista, è inserita in un area rurale trasformata in amena oasi servita da vialietti lastricati in pietra locale, che collegano il Santuario, le fonti, e una piccola pineta, degradando poi verso un ruscello con il boschetto degli ontàni (àlinos, in dialetto baroniese) con numerosi piccoli ponticelli pedonali, area arrosti e picnic e una zona con un piccolo altare e una piattaforma per le celebrazioni ed esibizioni folcloriche all'aperto.

La chiesetta di Santu Juanne Istranzu, ripresa all'interno in una precedente
visita, in occasione della celebrazione della S.Messa, l'ultima domenica di
giugno, unico giorno di apertura annuale del santuario.
Vista la bellezza del luogo e il caldo del sole ormai a picco, facciamo la sosta più lunga di tutto il cammino e visitiamo con calma l'intero sito.

La chiesetta, come le precedenti è chiusa, ma da un patio protetto da cinque grate se ne può vedere agevolmente l'interno.

Dopo uno spuntino frugale al sacco, rifocillati nel fisico e nello spirito, varcato in uscita il cancello del parco dirigiamo nuovamente verso destra tornando sulla strada asfaltata in direzione Onifai.

Arrivando a Onifai da nord, dai nuovi rioni della zona alta, lo sguardo spazia sul panorama di tutto il paese, e più in là, della valle del Cedrino e del monte Tuttavista di Galtellì..

Due ripide viuzze in discesa e via di nuovo per l'ultima arrampicata, quella verso l'altipiano de “Su Gollèi” a 150 msldm per circa 3 km. Poi si scende definitivamente verso la meta passando, già al limitare dell'area urbana, dinanzi alla chiesetta di San Giovanni Evangelista, che giusto per nozionismo accademico, era proprio il fratello di San Giacomo il Maggiore. Entrambi figli di Zebedeo, e Apostoli di Gesù, ma in particolare, Giovanni, presunto autore del quarto vangelo e dell'ultimo libro della Bibbia: l'Apocalisse. Non confondere San Giovanni Evangelista con San Giovanni Battista, di cui comunque il primo fu discepolo prima di seguire Gesù.

Orosei. Centro storico.
Una microscopica freccia gialla...
Giunti nella ridente cittadina di Orosei, e imboccata poco dopo sulla destra la via San Giacomo ci inoltriamo nel centro storico, passando dapprima accanto alla Chiesa delle Grazie, e poi all'Oratorio di Sant'Antonio, attaccato proprio alla Chiesa di San Giacomo.
Poco più avanti l'asfalto cede il passo al pavè sul quale riusciamo a scorgere casualmente alcune piccolissime frecce gialle non più lunghe di un dito e quasi invisibili che indicano la strada per il Santuario di San Giacomo.


Fortunatamente il Santuario è aperto e possiamo visitarne l'interno accedendo al sagrato attraverso una lunga e ripida scalinata in pietra lavica nera.
Il nostro pellegrinaggio è datato 25 luglio 2015, San Giacomo il Maggiore, patrono di Orosei, per cui, appena arrivati in chiesa, rendiamo omaggio al Santo, ringraziandolo per averci consentito di arrivare a Lui sani e salvi, e poi dirigiamo verso il portico ombroso di un bar per concederci la meritata ristorazione. Poichè è primo pomeriggio, estinguiamo la calura estiva e la stanchezza del cammino, con un bagno ristoratore e un po' di tintarella presso la spiaggia di "Sa Marina". Abbiamo tempo in abbondanza prima di tornare in chiesa alle ore 19 per assistere alla celebrazione della messa solenne e della successiva processione che per via dell'orario obbligato per il rientro, possiamo solo vederci sfilare dinazi alla fermata dell'autobus.

Orosei. Chiesa patronale di San Giacomo. La meta del pellegrinaggio.

La meta.
Il pellegrinaggio si compie qui.
Il pellegrinaggio è compiuto, ma non prima di una breve deviazione alla chiesetta di Santa Maria 'e Mare da dove non possiamo fare a meno di immortalare la meraviglia della foce del Rio Cedrino.

Orosei. La foce del fiume Cedrino vista dal sagrato della chiesa di Santa Maria 'e Mare.

Nella speranza di tornare a calcare quanto prima gli stessi sentieri di oggi ci auguriamo vicendevolmente e auguriamo a chi ci legge…

¡ ULTREYA !


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